Bassanesi, l'uomo che sfidò Mussolini dal cielo e che morì a Montelupo Fiorentino

19-12-2024 00:01 -

di Franco Pescali
L'undici luglio del millenovecento trenta, la città di Milano era nell'ottavo anno dell'era fascista. Quel venerdì verso mezzogiorno la quiete della città fu turbata da un ronzio che proveniva dal cielo. Sopra il duomo, nei pressi della galleria Vittorio Emanuele II, sul teatro della Scala, cominciarono a piovere volantini gettati da un piccolo aereo, un FarmanSport, pilotato da Giovanni Bassanesi pilota, maestro elementare e fotografo con a bordo Gioacchino Dolci, disegnatore.

Furono lanciati più di 150.000 volantini della formazione politica antifascista, Giustizia e Libertà.

Un volantino stampato su carta rossa incitava i milanesi con il seguente testo:
Giustizia e Libertà saluta Milano-città delle cinque giornate. Insorgere! Risorgere!”

Su un altro volantino c'era scritto:
“Giustizia e Libertà. Movimento rivoluzionario Antifascista. È il movimento liberatore. Non è un partito, né una Federazione di partiti. Accoglie tutti gli italiani che intendono battersi per darsi un'Italia libera, democratica, repubblicana. Già in 30 città i comitati di giustizia e libertà si organizzano e si armano per l'azione. Milano delle cinque giornate sia, come sempre, la prima a dare il segno! la riscossa è vicina. Viva Milano!Viva la Libertà.

Mentre il terzo volantino stampato su carta di colore verde aveva un testo quasi goliardico:
Giustizia e libertà movimento rivoluzionario antifascista.Italiani!Milanesi!Non fumate!IMilanesi del ‘48 hanno iniziato con l'astensione dal fumo la campagna contro l'Austria. Il fascismo merita di essere combattuto come l'invasore straniero. Colpite il nemico insaziabile alla radice della sua usurpata potenza: il denaro pubblico.Già le entrate dei tabacchi sono enormemente diminuite: riducetele al nulla.Milanesi, non fumate! Fumino gli sbirri e i sicari del regime come sfacciatamente fumavano gli aguzzini e le spie dell'imperatore. La parola d'ordine sia: chi fuma è un fascista!Guerra alla tirannide!Viva la libertà!

L'apparecchio agì indisturbato per circa trenta minuti sopra Milano; la difesa aerea intervenne solo alle 15.30 facendo alzare in volo sei caccia, ma nessuno riuscì a fermare quest'azione che aveva violato la città in cui Mussolini nel 1919 in Piazza San Sepolcro aveva tenuto a battesimo il partito fascista.

Giovanni Bassanesi,poté quindi tornare in Svizzera con il suo aeroplano; dopo un lungo e tormentato scalo tecnico a Lodrino vicino a Bellinzona in cui fu sbarcato il Dolci, Bassanesi decollò nuovamente cercando di far rotta verso Zurigo.
Ma subito dopo il decollo, il volo si trasformò in un calvario: la presenza di un temporale estivo con forte pioggia e grandine, le condizioni meteo estreme, fecero precipitare Bassanesi nei pressi del Monte San Gottardo.
Ferito e subito soccorso da alcuni abitanti che avevano sentito un gran boato nella nebbia, fu anche immediatamente fermato dalle autorità della polizia elvetica.

Intanto il Prefetto di Milano, il dottor Giuseppe Siragusa, cominciò a mandare i primi telegrammi urgentissimi e con massima segretezza, per avvisare del fatto il Capo della Polizia Arturo Bocchini, che dovette affrontare un Benito Mussolini inferocito per lo smacco subito.
Come prima testa, la sera stessa saltò il colonello della Regia Aeronautica Tedeschini Lalli, colpevole secondo Mussolini di inerzia e di inefficacia nelle operazioni di intercettazione del velivolo su Milano.
Quel volo era stata un'operazione internazionale di lotta contro il fascismo che aveva avuto l'appoggio politico e operativo dei socialisti del Canton Ticino, capeggiati da Guglielmo Canevascini e dal giudice di pace Carlo Martignoli, da Carlo Rosselli e dal Repubblicano Randolfo Pacciardi che avevano finanziato l'impresa.

Le autorità fasciste fecero molta pressione sul governo svizzeroaffinché i soggetti in questione venissero processati con severità.
Ma in realtà il processo si trasformò in un atto di accusa al regime fascista.
A difendere Bassanesi e Dolci fu chiamato uno dei principi del foro francese, l'avvocato Moro-Giafferi; intervenne anche a difesa degli imputati l'esule socialista Filippo Turati, anche lui fatto fuggire dall'Italia grazie al contributo di Carlo Rosselli.

Ma il più grande attacco al regime lo fece Carlo Rosselli che durante l'interrogatorio pronunciò queste frasi che sono entrate nella storia:
Avevo una casa: me l'hanno devastata. Avevo un giornale: me l'hanno soppresso. Avevo una cattedra: l'ho dovuta abbandonare. Avevo, come oggi, delle idee, una dignità, un ideale: per difenderli ho dovuto andare in galera. Avevo dei maestri, degli amici, Amendola, Matteotti, Gobetti e me li hanno uccisi.

Finito il processo,Bassanesi condannato con una pena mite, fu espulso dalla Svizzera e cominciò un lungo peregrinare tra Francia, Belgio, Germania, Paesi Bassi, Spagna, inseguito dai servizi segreti italiani e dalle polizie dei vari paesi.

Ritornato in Italia e sposato con l'esule socialista Camilla Restellini, fu prima arrestato e poi rinchiuso in un manicomio a Napoli.
Nel giugno del 1940 fu trasferito all'ospedale psichiatrico di Nocera Inferiore; fu poi liberato e mandato al confino a Ventotene, ma dopo poco fu nuovamente rispedito al manicomio di Napoli.
Finita la guerra, fiaccato nel fisico ma anche nella mente, abbandonato dai suoi compagni di lotta, riuscì a trovare posto come insegnante elementare in una scuola pubblica.
Ma purtroppo i guai per lui non erano ancora finiti. Accortosi che la direttrice didattica nella scuola dove lui insegnava aveva cambiato dei voti sul registro, decise di denunciare il fatto, creando grande scandalo nell'opinione pubblica.
Venne condotta una campagna mediatica e giudiziaria contro Bassanesi. Fu accusato di malnutrizione e di percosse ai figli e una commissione medica lo dichiarò infermo di mente e lo fece internare nel carcere del manicomio di Montelupo Fiorentino dove morì il 19 dicembre del 1947 a soli 42 anni.
Il corpo fu sepolto nel cimitero di Montelupo Fiorentino.
La moglie Camilla anche lei ricoverata nel manicomio di Aversa, perché ritenuta incapace di badare ai figli, verrà a sapere della morte del marito solo dopo diverse settimane, perché la corrispondenza con Montelupo Fiorentino si era interrotta.
Chiese alla direzione del manicomio di Aversa il permesso di visitare il cimitero di Montelupo; per più di un anno gli venne rifiutato. Poi nel febbraio del 1949, improvvisamente la direzione sanitaria gli permise di recarsi in Toscana. Così Camilla descrive nel suo diario quel tremendo giorno del febbraio del 1949.

Quel freddo pomeriggio di sole del Febbraio 1949 l'accelerato Pisa Firenze mi lasciò a Montelupo. Andavo affrontando l'incontro col mio morto e coi suoi custodi, io che tornavo dalla “licenza premio” col foglio di via da Aosta ad Aversa. Alla Guardia chiesi, con l'aria quanto potevo distaccata, del cimitero dei pazzi. L'uomo volle saperne di più. “Mio marito” dissi “da oltre un anno….” “ Il cimitero è là” e indicò la direzione “vedrete meglio in cima a questa strada. Ci sono i cipressi.Il registro lo tiene il cappellano”. Da tempo invece il cappellano non lo teneva più, Ma non volle mostrarle che non ricordava il mio caro.S'affrettò a rassicurarmi: che tutti erano assistiti e il mio era morto da cristiano. Mi incamminai verso i cipressi. Piangevo senza gemere.Mi feci forza il cimitero era piccolo, un poco in pendio. Squallore di febbraio in un cimitero di sepolti che già lo erano da vivi. Fosse di carcerati senza fiori né pietra né confine né nome.Non sapevo il luogo…. tornai al cancello per chiedere del becchino. Col quale poi mi chinai sul registro a cercare il nome, che venne fuori da un lungo elenco, col numero della fossa. In cimitero, la tomba portava un altro nome. Il becchino scusò quest'altra cosa, estrasse una croce da una tomba, una piccola tozza croce di ferro, la rigiro e ne conficcò la punta altrove nella terra dura. “Son croci” disse “che han già servito.Si mettono perché si vede il sito”.Se ne andò gentilmente lasciandomi da sola. il miosguardoerrò desolato. “Perdona Nanni..”“Qui o altrove” rispose aprendomi le care braccia“che importo oramai? Pensa… ora ai bimbi”.

Camilla Restellini, grazie all'aiuto della vedova Rosselli, Marion Cave, riuscì ad ottenere la grazia e dopo aver riavuto i figli che erano stati messi in collegio cominciò a lavorare come dattilografa ad Aosta. Nel 1952 si trasferì a Roma dove aprì un'importante agenzia di servizi per eventi e congressi, attività tutt'ora che gestiscono i nipoti.
Della morte di Giovanni Bassanesi si ricorderà solo un giornale: l'Italia Socialista.
In Italia l'impresa di Giovanni Bassanesi e di Gioacchino Dolci è caduta nell'oblio, dimenticata dai partiti, dalle istituzioni dal mondo accademico.
Nel nostro Paese, da quello che mi risulta, solo a Favara in provincia di Agrigento hanno intestato una via in memoria di Giovanni. Solamente nel 2006 per l'editore Rubbettino lo scrittore Gino Nebiolo ha scritto un bel libro dal titolo “l'uomo che sfidò Mussolini dal cielo”.
In Svizzera invece, si è costituita un'associazione degli “amici di Giovanni Bassanesi” con tanto di sito internet e grazie alla presenza di questo sodalizio sono stati inaugurati diversi monumenti e cippi in ricordo di questa impresa aviatoria. Addirittura, recentemente le edizioni svizzere per la gioventù, hanno pubblicatoun libro per ragazzi dal titolo “In volo per la libertà” un'avvincente storia dell'impresa di Bassanesi ai giorni d'oggi e la televisione svizzera ha ricordato con un docu-film quell'impresa, concludendo le riprese sulla Villa dell'Ambrogiana e nel cimitero di Montelupo Fiorentino.
Sarebbe giusto se nei nostri libri di storia oltre al volo di Gabriele D'Annunzio su Vienna, fossero ricordati anche i “voli della libertà” di Bassanesi-Dolci e anche quello del poeta Lauro de Bosis (luglio del 1931) che imitando l'impresa dei giellisti, sorvolò Roma lanciando volantini contro il regime.

Venendo alla nostra realtà, sarebbe bello che la città di Montelupo Fiorentino tributasse un riconoscimento a questa impresa dedicando una via in ricordo di quel volo e che magari dedicasse una giornata per far conoscere al pubblico, la storia di questi eroi dimenticati che hanno sofferto e combattuto per la nostra libertà.

A Giovanni, Gioacchino e Camilla.