Quattromila firme e una domanda inevasa: chi ha davvero paura del referendum?

20-08-2025 21:00 -

di Pietro Spina
Quattromila firme non sono un dettaglio. In una città come Empoli, rappresentano circa il 10% degli aventi diritto al voto, una percentuale che aumenta considerevolmente se si guarda al numero effettivo di chi si reca alle urne (nelle ultime elezioni comunali, infatti, solo il 67% degli elettori si è presentato). Se vogliamo addentrarci ancor più nel valore di quel numero, sempre dando un’occhiata alle ultime amministrative, sono la quasi totalità dei voti ottenuti dalle liste che sostenevano la candidatura di Leonardo Masi e poco meno della metà di quelli che hanno votato (al primo turno) per Mantellassi. Sono una cospicua fetta di empolesi. Un dato che, ben lungi dal rappresentare una voce isolata, segna un chiaro segnale politico dalla cittadinanza: il malcontento nei confronti delle scelte che vanno verso la privatizzazione dei servizi pubblici, e in particolare dell’acqua.

Al centro della battaglia c’è la Multiutility, la grande holding dei servizi della Toscana centrale. Nata nel 2023, è formalmente a maggioranza pubblica (soci sono i nostri Comuni), ma destinata ad aprirsi al mercato e, con ogni probabilità, a quotarsi in Borsa. Il Comune di Empoli ha aderito con la delibera 93/2022, ma il comitato Trasparenza per Empoli, sostenuto da Buongiorno Empoli, Movimento 5 Stelle e Partito Comunista Italiano, ha rimesso tutto in discussione con la raccolta delle firme e la richiesta di un referendum abrogativo.

Quelle firme non sono solo una cifra. Sono un indice di diffidenza crescente nei confronti di quelle grandi strutture partecipate che, in realtà, sono gestite con logiche di profitto: devono generare utili.

Il referendum chiesto dal Comitato, nel 2024 è stato rinviato per una questione di normativa comunale che impedisce l’indizione di consultazioni popolari in concomitanza con le elezioni amministrative. Ma quando il comitato ha chiesto di accorpare il referendum alle imminenti elezioni regionali (non menzionate nel regolamento quale ostacolo alla consultazione popolare), la risposta è stata un “no” che oggi appare più come una precauzione politica che come una questione tecnica. Che pure esiste: è stato chiesto un parere al ministero che nella sua risposta ha sottolineato la non opportunità nell’accorpare il referendum locale a qualsiasi consultazione elettorale, essendo diverso il corpo elettorale (al referendum votano i residenti in città, anche coloro che non hanno cittadinanza), per evitare confusione ai seggi e negli elettori.

Regolamento alla mano (e richiesta del Comitato in questo senso), si potrebbe votare già dalla settimana successiva: perle regionali andremo alle urne il 12 e 13 ottobre, per il referendum, se sarà deciso, si potrà votare la domenica successiva.

A molti quel parere è apparso solo un appiglio per evitare che l’affluenza sia tale da raggiungere il quorum e quindi invalidare la consultazione. Anche se, va detto e sottolineato, il sindaco Mantellassi, dal canto suo, ha più volte ribadito di essere contrario alla quotazione e si è impegnato a far passare ogni eventuale decisione dal Consiglio comunale. Ma intanto la Multiutility va avanti, sostenuta dagli altri grandi Comuni soci. E mentre a Firenze, Prato e Pistoia il progetto non incontra resistenze organizzate, a Empoli migliaia di cittadini hanno imposto una frenata, obbligando la politica ad affrontare una domanda che non può più eludere: chi deve avere l’ultima parola sulla gestione dei beni comuni?

La vera domanda è politica. Quattromila cittadini chiedono una cosa semplice e chiara: che l’acqua – bene pubblico, diritto universale – venga gestita da una società pubblica, con l’unico scopo di garantire un servizio equo e trasparente. Non si tratta di ideologia, ma di una concreta difesa del bene comune, eppure di fronte a questa richiesta le reazioni della politica sono state emblematiche.

Il Partito Democratico ha risposto con un linguaggio burocratico e amministrativo, parlando di efficienza e qualità dei servizi, ma senza mai pronunciare la parola che farebbe davvero la differenza: società in house. Una scelta che non arriva mai, nemmeno nei discorsi ufficiali. Sinistra Italiana, dal canto suo, ha preferito deviare il dibattito, spostando l’attenzione su alleanze politiche ed etichette ideologiche, piuttosto che affrontare nel merito il problema. Eppure il problema c’è, ed è grande.

Quello che stiamo vivendo ad Empoli è un microcosmo di una crisi più ampia della politica. Una politica che fatica a rispondere alle istanze che partono dal basso, che teme la partecipazione diretta, proprio perché non può controllarla. Il punto non è solo la gestione dell’acqua, ma la capacità della politica di ascoltare la volontà popolare, di non rifugiarsi dietro paraventi burocratici o slogan vuoti. Si dirà che in altri casi non è stato così: lo stadio, ad esempio. O il teatro civico: tutto il processo che ha portato alle decisioni è avvenuto con il coinvolgimento della gente.

Questa volta non riguarda un cantiere da aprire, un quartiere da trasformare, una viabilità da rivoluzionare. E’ una questione di politica e di cultura insieme: ha in sé la forza di indicare una strada, dà modo di schierarsi, di decidere se stare dalla parte della finanza o dalla parte dei cittadini. Le 4.000 firme non sono solo una raccolta di consensi: sono una chiamata alla coerenza, una richiesta di ritorno ai principi che dovrebbero guidare ogni amministratore pubblico. La domanda che rimane inevasa, e che dovrebbe far riflettere chi ha la responsabilità di governare, è una sola: il potere politico ha davvero il coraggio di ascoltare? O continuerà a fare finta che tutto vada bene, mentre sempre più cittadini si allontanano dalla gestione delle proprie risorse e dai processi decisionali?

La risposta arriverà quando i cittadini avranno la possibilità di esprimersi.