Dal primo “Museion” di Platone a Empoli oggi

23-09-2025 09:27 -

di Marco Cardone

Il primo museo della storia non era un edificio, né un contenitore di opere d’arte, era il giardino di Akademos ad Atene, dove Platone e i suoi discepoli parlavano sotto le statue delle nove Muse. Quel luogo, chiamato Museion, non custodiva quadri o reperti, ma idee, riflessioni sull’esistenza, sull’estetica, sull’armonia tra uomo e natura in funzione del ruolo dell'uomo e del progresso.

Oggi ad Empoli, dove si stanno approvando piani urbanistici POC con decine di migliaia di metri quadrati di nuove edificazioni sommate alle centinaia di migliaia del PSI, il progresso sembra ridotto a un’altra cosa.

Da un lato il lavoro, gli interessi e le richieste dei privati da soddisfare, dall’altro lato, ciò che non viene neppure sfiorato, il rischio idraulico che ha già colpito con forza devastante le stesse aree, i grandi costi economici che questo comporterà per la collettività, il cambiamento estetico e paesaggistico con la distruzione della campagna toscana, uno dei nostri vanti identitari riconosciuto e protetto persino dalle direttive del PIT regionale e soprattutto la tutela delle scarse risorse vitali primarie di acque e suolo.

A voler fare uno sforzo e allargando lo sguardo oltre i nostri confini storici e culturali, vediamo due figure che in questo incarnano due approcci opposti: il profeta e il filosofo.

Il profeta, nella tradizione ebraica, ha un compito “facile”, esso conosce l’esaltazione dell’incontro con Dio e porta alla tribù il messaggio ricevuto, a quel punto la sua sorte si decide in un istante: se la tribù non lo accetta lo elimina, se lo accetta la sua verità è sancita per sempre e non ha più bisogno di convincere nessuno.

Il filosofo greco del Simposio invece non gode di questa scorciatoia, è costretto a ricominciare ogni volta, a misurarsi continuamente con il dubbio e con l’opinione degli altri, deve affinare argomentazioni solide e praticare una maieutica raffinata capace di condurre gli interlocutori a scoprire la verità con le proprie forze. È in questa fatica incessante di confronto e verifica che nasce il vero progresso, non come rivelazione definitiva, ma come esercizio continuo di ragione e discussione.

Questa differenza è anche la nostra oggi, il profeta somiglia a chi vince le elezioni e in virtù di quell’atto si comporta come un regnante che non deve più giustificarsi, mentre il popolo invece è come il filosofo del Simposio, costretto sempre a dimostrare, a produrre conoscenza, a tentare con la scienza e la ragione, sperando che questo sforzo aiuti ciascuno a vedere da sé la verità.

Eccoci quindi alla contraddizione che viviamo nell'oggi, il cosiddetto “progresso” politico-amministrativo che riduce tutto a un voto che diventa esso stesso formalità, mentre il popolo deve continuamente argomentare, denunciare, dimostrare con dati e con la realtà dei fatti che il cemento oggi non è progresso, ma pericolo e arretramento.

Platone avrebbe discusso con i suoi discepoli del senso di tutto questo, noi oggi ci limitiamo a subire un'altra colata di cemento che contribuirà ad aggravare la prossima alluvione.