Davor Cop, l'attaccante che somigliava... solo a se stesso
01-11-2025 16:42 -
Empoli, nell'estate del 1987, non era un posto da vacanze. Non aveva il mare, né le montagne. Soltanto un caldo impastato di zanzare e cemento, piazza Matteotti che bolliva sotto il sole e dirigenti della squadra di calcio locale in maniche di camicia che sudavano più per l'ansia della penalizzazione che per il clima. Cinque punti in meno in classifica, prima ancora che iniziasse il campionato. Un castigo che aleggiava come un fantasma tra le stanze della sede della società, dietro le persiane sempre socchiuse, tra le parole bisbigliate nelle osterie accanto al municipio. Il presidente Brizio Grazzini, come Gaetano Salvemini, l'allenatore, parlava poco. Eppure c'era da ridisegnare la squadra, e da farlo in fretta.
«Ci serve un altro straniero,» disse una mattina Silvano Bini, il direttore sportivo, entrando in sede con i giornali sottobraccio e un cornetto freddo nella mano sinistra. Salvemini alzò gli occhi e sospirò. «Uno vero, però. Non quelli che arrivano con le videocassette taroccate.» Era così che, in quell'epoca, si visionavano i giocatori stranieri: attraverso bobine e cassette, promesse e illusioni, perché gli osservatori non erano ancora figure di mestiere.
L'Empoli doveva andare a Marassi, a giocare contro la Sampdoria. Così, prima della gara, i due tecnici si misero a chiacchierare. «Stiamo cercando un altro straniero da affiancare a Ekström,» disse Salvemini a Vujadin Boškov, che a Genova, per i sampdoriani, era una divinità. L'oracolo di Novi Sad. L'allenatore filosofo, quello che parlava per sentenze. Un giorno poteva spiegarti il calcio con l'entusiasmo di un bambino e il giorno dopo ridurlo a una frase da biscotto della fortuna: «Rigore è quando arbitro fischia.» Ma quella volta fu serio. Ascoltò il collega empolese, poi disse: «Prendete Čop. Davor Čop. Forte, intelligente. E' simile a Galderisi.» Silenzio. «Galderisi?» «Sì.» Il silenzio calò quando l'attaccante entrò nella sede di piazza Matteotti. Il primo a parlare fu un magazziniere. «Ma… questo è come Galderisi?» «Galderisi? Ma se pare un lampione!» «Alto… un metro e ottantacinque. Forse di più.» «Allora è Virdis!» «No no, Altobelli!» «Ma l'avete visto? Corre come un levriero, però sembra uno stopper!» «È un attaccante, dice.» «Ma dove?»
La verità, raccontò anni dopo Silvano Bini, era un'altra. Čop non fu segnalato da Boškov, ma da un presunto procuratore, un conoscente del presidente Grazzini, che — secondo la leggenda — aveva una confezione che cuciva per lui. Fu preso l'ultimo giorno di mercato, quasi per necessità, per dimostrare al processo sportivo che l'Empoli credeva ancora nella Serie A acquistando un secondo straniero. Ma in realtà, nessuno ci credeva davvero. Costò poco, pochissimo. Svelò, Bini, che se non avesse avuto la mannaia della penalizzazione, avrebbe potuto allestire una squadra più competitiva: “Avevo già contattato il brasiliano Romario” si lasciò scappare a un cronista sportivo.
Il croato si fece spazio tra le strette mani che cercavano di stringere la sua. Salutava, imbarazzato, con la voce bassa, come chi non sa bene se è stato convocato per giocare o per essere giudicato. Arrivò anche un giornalista jugoslavo, che lo seguiva come un'ombra, col taccuino in tasca e l'aria da inviato speciale in un posto che sapeva di miracoli improbabili. Lo paragonò ad Altobelli. Il procuratore, un certo Pardo, giurava che fosse identico a Virdis, ma “più elegante, più europeo”. Alla fine, fu un cronista locale – di quelli che scrivono anche di tombola e sagre del carciofo – a chiederglielo direttamente: «Davor, a chi somigli come calciatore?» Lui ci pensò un momento, poi disse, con candore mistico: «A Čop.»
Lo scrissero sul Tirreno il giorno dopo: “L'attaccante venuto da lontano somiglia solo a se stesso.”
In campo, Čop si muoveva in diagonale, con una corsa che non si capiva se fosse lenta o semplicemente inutile. Aveva la statura da torre e l'umiltà di un medianaccio, tirava poco, ma quando lo faceva pareva che cercasse qualcosa che non fosse la porta. Forse Dio. In allenamento, Salvemini lo guardava con occhi sempre più perplessi. Una volta mormorò: «Boškov ha detto “come Galderisi”, ma forse intendeva “come Galderisi… se lo guardi al contrario, in uno specchio rotto.”» Ma Vujadin, quando chiamato a rispondere, se la cavò con un sorriso e una frase delle sue: «Io dico: cavallo buono si vede a fine corsa. Se parte male, forse vince.»
Čop giocò poco, non fece gol (uno, in Coppa Italia,contro la Cremonese), ma lasciò un'impressione poetica. In campo sembrava un personaggio di Bolaño: presente, ma sempre un po' fuori posto. Parlava poco, scriveva cartoline alla madre a Fiume e si aggirava per Empoli come un turista spirituale, convinto che il calcio fosse un linguaggio fatto di silenzi e posizioni sbagliate. Non aveva un'auto, e la comprò in una concessionaria cittadina, un'Audi pagata in dodici rate da un milione di lire ciascuna, dal primo all'ultimo mese del contratto. Gli ultras empolesi, affascinati e delusi al tempo stesso, gli dedicarono uno striscione rimasto celebre: “Gioventù Bugiarda sez. Davor Čop”. Era uno striscione verde, non azzurro — nessuno seppe mai spiegare perché — e sembrava più un saluto ironico che un'offesa.
Quando l'Empoli, a fine stagione, retrocesse, in molti dissero che l'errore fu credere che un consiglio — anche se dato da un uomo saggio — valesse più di un allenamento. Altri, i più romantici, continuarono a difenderlo: «Almeno Čop non ha mai mentito. Volevamo sapere a chi somigliava. E lui ha detto la verità.» E questa verità, in un mondo di paragoni e promesse gonfiate, era già una forma di vittoria.
Col tempo, Davor Čop entrò nel folclore del calcio italiano, ricordato — insieme a Luis Silvio della Pistoiese — come uno dei più grandi “bidoni” mai apparsi in Serie A dopo la Seconda guerra mondiale. Ma a Empoli, chi c'era davvero, racconta ancora oggi che quell'uomo, così goffo e gentile, somigliava solo a se stesso.
(3.a puntata. Le precedenti: 2.a - La sera che la televisione regalò un sogno da piazza dei Leoni/ 1.a - Quella volta che i tifosi dell'Empoli furono sospettati di rapimento)