Cantini (Fdi): "Mancato quorum e quesito tecnico frenano la partecipazione"

11-11-2025 16:15 -

Il referendum consultivo comunale svoltosi a Empoli lo scorso 9 novembre sul tema dell’acqua pubblica si è concluso con un dato politicamente significativo ma giuridicamente irrilevante: solo il 28,48% degli aventi diritto si è recato alle urne, pari a 12.292 votanti su 43.156 iscritti, rendendo così non valido il referendum per mancato raggiungimento del quorum del 50% + 1. Tra coloro che hanno votato, la grande maggioranza — circa il 96% — si è espressa per il “Sì” all’abrogazione della delibera n. 93/2022, con la quale il Comune aveva aderito al progetto della Multiutility Toscana, che prevede la possibilità di quotazione in borsa di una holding dei servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, energia e gas).


Un risultato che, pur esprimendo una chiara posizione di contrarietà da parte di una parte attiva della cittadinanza, non può essere interpretato come un mandato vincolante, dato che oltre il 70% degli elettori ha scelto di non recarsi alle urne.


Una partecipazione così bassa, su un tema tanto rilevante, riflette la complessità tecnica del quesito, che non verteva sul principio — universalmente condiviso — del diritto all’acqua pubblica, quanto piuttosto su modelli di gestione e strumenti societari di natura giuridico-finanziaria.


In gioco, infatti, non vi era la privatizzazione dell’acqua, ma la scelta della struttura societaria più efficiente e sostenibile per la sua gestione:

● da un lato la Multiutility Toscana, società a controllo pubblico (con i Comuni soci in maggioranza) che prevede la possibilità di accesso ai mercati finanziari;

● dall’altro, la prospettiva di una società In House interamente pubblica, dedicata esclusivamente alla gestione del servizio idrico.

Si tratta di due modelli differenti ma entrambi pubblici, che pongono questioni tecniche, economiche e gestionali, non ideologiche.

La Multiutility, come società quotata, potrebbe reperire capitali per investimenti strategici, innovazioni tecnologiche e ammodernamenti delle infrastrutture, mantenendo al contempo il controllo pubblico sulle decisioni di indirizzo.


La gestione In House, invece, assicura una filiera completamente interna, ma rischia — in assenza di volumi e risorse adeguate — di limitare la capacità di investimento e la sostenibilità economica nel lungo periodo, specie in un contesto europeo che privilegia modelli integrati e finanziariamente solidi.


Un esempio concreto di questa differenza è visibile anche a livello locale: la società In House che gestisce le farmacie comunali di Empoli, interamente controllata dal Comune, rappresenta un modello di gestione pubblica efficiente e con conti in equilibrio. Diversa è invece la situazione della società In House che gestisce la piscina comunale, composta da vari enti pubblici, che da anni non riesce a trovare le risorse per ristrutturare un impianto ormai vetusto e bisognoso di interventi strutturali importanti, in attesa dei 10 milioni di euro dal governo per la riqualificazione.

Questi esempi dimostrano che non tutte le società In House sono uguali, e che la loro efficacia dipende da volumi, target commerciali, capacità gestionale e solidità economica.


Allo stesso modo, esistono esperienze virtuose di società quotate in borsa che operano con eccellenza nel settore dei servizi pubblici: basti pensare al caso di Hera S.p.A. in Emilia-Romagna, una Multiutility che ha saputo unire controllo pubblico, efficienza industriale e forti investimenti in innovazione, ambiente e digitalizzazione, garantendo ai cittadini tariffe sostenibili e servizi di alta qualità. Un modello che dimostra come la quotazione non equivalga alla privatizzazione, ma possa rappresentare una leva di crescita e modernizzazione sotto una guida pubblica competente.


A questo si aggiunge un ulteriore elemento – che intensifica la complessità della partita — rilevato anche dalla recente presa di posizione a Firenze della sindaca Sara Funaro: con riguardo al dossier della società Publiacqua S.p.A. e del socio privato ACEA S.p.A., è infatti aperto un procedimento giudiziario che porterà a un’udienza nel mese di gennaio. Se l’esito sarà favorevole, la quota privata potrebbe essere riacquisita dai soci pubblici, ma l’operazione avrebbe un costo stimato tra i 100 e i 130 milioni di euro.


Anche per il nostro Comune di Empoli – parte della medesima area toscana – queste cifre impongono una riflessione seria: il riacquisto delle quote del socio privato non è privo di ripercussioni, potenzialmente anche sulle tariffe che gli utenti dovranno sostenere. Il mancato quorum, dunque, non rappresenta una vittoria di nessuno, ma evidenzia una distanza crescente tra cittadinanza e politica amministrativa su temi che richiedono competenze specifiche e comunicazione chiara. Le modalità di gestione dei servizi pubblici — che si tratti di Holding Multiutility, società In House o partecipate miste — non sono mere questioni formali: esse definiscono la capacità dei Comuni di garantire servizi efficienti, tariffe sostenibili e investimenti nel futuro.


Empoli, come molti altri territori toscani, è ora chiamata a una riflessione seria e non ideologica: come coniugare il controllo pubblico con l’efficienza gestionale, assicurando ai cittadini servizi moderni e sostenibili. Questa è una sfida amministrativa, non un terreno di scontro politico, che richiede visione, competenza e responsabilità. Ed è proprio qui che emerge la differenza tra la buona politica amministrativa e la scelta ideologica o populista: trasformare questioni tecniche in bandiere identitarie ha già dimostrato, negli ultimi anni, di produrre danni enormi. Basti pensare all’esperienza del “reddito di cittadinanza”: nato come misura di equità sociale ma trasformato in uno strumento di consenso politico, che ha generato un costo complessivo per le casse dello Stato superiore ai 30 miliardi di euro e distorto il mercato del lavoro, disincentivando l’occupazione e alimentando sacche di assistenzialismo senza sviluppo.


Scelte ideologiche, anche quando mosse da buone intenzioni, finiscono spesso per gravare sui bilanci pubblici e sulla sostenibilità economica del Paese. E questo vale anche per la gestione dei servizi pubblici locali, che deve restare fondata su criteri di efficienza, trasparenza e sostenibilità, non su spinte emotive o appartenenze politiche.


Fin dall’inizio Fratelli d’Italia Empoli ha mantenuto una posizione chiara e coerente: non trasformare un tema tecnico in una battaglia ideologica. Abbiamo più volte dichiarato nei nostri comunicati e sulle testate locali che, pur essendo per il “NO” nell’ottica di non privarsi di una “scelta possibile” in relazione a ciò che sarebbe stato più vantaggioso per i cittadini, avremmo lasciato libertà di scelta ai nostri elettori, invitandoli a votare secondo coscienza e consapevolezza. Crediamo che l’acqua debba restare pubblica – e lo abbiamo scritto a chiare lettere - ma che la sua gestione debba essere anche efficiente, trasparente e sostenibile anche se si dovesse fare ricorso ad una società quotata in borsa a prevalente controllo pubblico (almeno 51% delle quote).


Il risultato di questo referendum conferma che serve più informazione, più confronto e meno propaganda: perché la buona politica si misura nella capacità di spiegare la complessità, non di semplificarla.


Isacco Cantini
Fratelli d'Italia






Fonte: Ufficio stampa