Tindaro Granata al Giallo Mare Teatro: "Vorrei una voce", un inno alla speranza e alla rinascita
11-11-2025 17:44 -
Giovedì 13 novembre, il Giallo Mare Teatro di Empoli avrà il privilegio di ospitare Tindaro Granata, attore e autore siciliano, che porterà in scena il suo ultimo lavoro "Vorrei una voce", uno spettacolo emozionante e intenso che ha recentemente vinto il Premio Hystrio Twister 2025. Dopo il successo del suo primo monologo, "Antropolaroid", che lo ha consacrato tra i protagonisti del panorama teatrale italiano, Granata torna sul palco con una narrazione che, pur prendendo le mosse dalla realtà del carcere, si spinge a esplorare temi universali come la capacità di sognare, la speranza e la forza interiore.
Il progetto nasce da un'esperienza di teatro educativo svolto all'interno della Casa Circondariale di Messina, dove Granata ha condotto un laboratorio con le detenute, utilizzando la musica e le canzoni di Mina come strumento di espressione e liberazione.
La musica della celebre cantante italiana, simbolo di sensualità e femminilità, diventa il filo conduttore di uno spettacolo che non si limita a raccontare la sofferenza, ma esplora la possibilità di ritrovare la propria voce e la propria libertà, anche nelle condizioni più difficili. A cinque anni dal debutto di "Antropolaroid", potrebbe raccontarci com'è nato il suo nuovo lavoro, "Vorrei una voce"? "Vorrei una voce" nasce da un'esperienza molto intensa che ho vissuto all'interno della Casa Circondariale di Messina. Nel 2019 sono stato chiamato da Daniela Ursino, che gestisce un progetto di teatro di rieducazione per le detenute, a condurre un laboratorio con loro. Ciò che mi ha colpito maggiormente è stato il loro senso di frustrazione rispetto al proprio aspetto fisico. Mi sono reso conto che avevano completamente perso il contatto con la propria femminilità e con il proprio corpo. Così, ho pensato di lavorare con loro sulla riappropriazione di quella voce, di quella sensualità, attraverso la musica di Mina, che è un simbolo di femminilità e di potenza emotiva. Quindi il progetto iniziale era diverso da quello che poi abbiamo visto in scena. Come si è evoluto nel tempo? Inizialmente il progetto era pensato come un laboratorio teatrale con le detenute, ma poi è accaduto qualcosa di inaspettato. Durante le prove, mi hanno chiesto di mettere in scena un concerto di Mina, come se fossimo a un live, con loro che interpretavano le sue canzoni. Era una proposta che non avevo previsto, ma che mi è sembrata bellissima. In quel momento ho capito che lo spettacolo non doveva essere solo un atto teatrale, ma doveva diventare una sorta di liberazione, una riconquista della loro voce e della loro identità. La scelta di Mina come colonna sonora del progetto sembra legata proprio a questo concetto di liberazione del corpo e della femminilità, è corretto? Mina è una delle voci più potenti e sensuali che ci siano. Per le detenute, cantare le sue canzoni è stato come riscoprire una parte di sé che era stata repressa. Lo spettacolo stesso, pur trattando temi forti come la reclusione, non vuole essere un inno alla sofferenza, ma piuttosto un inno alla speranza e alla possibilità di riscoprire la propria libertà, anche nelle circostanze più difficili. Il mio obiettivo è stato quello di far sì che il pubblico, al termine della rappresentazione, sentisse il desiderio di rincominciare a sognare, di lottare di nuovo per ciò in cui crede. Questo è il messaggio che intendo trasmettere. C'è un insegnamento che lei e le sue attrici detenute avete tratto da questa esperienza? Senza dubbio. Le detenute hanno avuto la possibilità di riappropriarsi del loro corpo e della loro femminilità, riscoprendo una parte di sé che la vita in carcere aveva alienato. In un contesto come quello carcerario, dove il corpo è spesso privato della sua libertà di espressione, riscoprire quella forza e quella sensualità è stato un atto di potere. Durante le prove, ho visto come una canzone di Mina riuscisse a farle sentire libere, come se, per un attimo, potessero essere qualcun altro. È stata un'esperienza profondamente terapeutica, anche se non convenzionale.
Ha parlato di speranza e di sogno. Lo spettacolo è rivolto a coloro che hanno smesso di sognare. E' dedicato a tutte quelle persone che hanno smesso di sognare, o che per un motivo o per un altro hanno perso la forza di lottare. Ho voluto creare un'opera che, pur partendo da una realtà difficile come quella del carcere, fosse un inno alla vita, alla speranza e alla capacità di cambiare. Credo che il teatro abbia un potere straordinario: quello di farci guardare noi stessi e il mondo con occhi diversi, come quando siamo bambini e tutto ci sembra possibile. Da poco lei è stato nominato direttore artistico del Teatro degli Animosi di Carrara: che esperienza sta vivendo? Sono molto felice di ricoprire questo ruolo, anche se si tratta di una responsabilità significativa. Carrara è una città che vive e respira cultura, e il teatro lì è una realtà di grande importanza. In questo contesto, la sfida principale sarà portare avanti un lavoro di qualità che rispecchi la bellezza e la potenza della tradizione teatrale italiana, ma anche aprire il teatro a nuove sperimentazioni e a nuove voci. La cultura e il teatro sono strumenti di crescita e di unione, e desidero fare in modo che il pubblico possa vivere il teatro in tutta la sua profondità.
Tindaro Granata, nato in provincia di Catania nel 1981, è un artista poliedrico che ha saputo raccontare la realtà con uno sguardo sensibile e profondo. Sognava il cinema, ha iniziato la sua carriera teatrale in modo piuttosto inusuale, dopo aver svolto lavori diversi. Si forma come autodidatta e debutta nel 2002 nello spettacolo Pulcinella, diretto da Maurizio Scaparro. Da allora la sua carriera si è contraddistinta per una costante ricerca di autenticità e per la capacità di intrecciare temi sociali e intimi con una scrittura teatrale profondamente umana.
Nel 2011 porta in scena il suo primo testo da autore e interprete, Antropolaroid, che ottiene un ampio consenso di pubblico e critica. Segue una serie di lavori che ne consolidano la cifra stilistica, tra cui Invidiatemi come io ho invidiato voi (2013) e soprattutto Geppetto e Geppetto (2016), con cui vince il Premio Ubu come “miglior nuovo testo italiano”. Nel 2013 aveva già ricevuto il Premio Mariangela Melato come miglior attore emergente nell'ambito delle Maschere del Teatro Italiano.
Artista attento ai temi della contemporaneità, Granata affronta nelle sue opere questioni complesse come la genitorialità, la diversità, la libertà e la dignità umana. Tra le sue regie più recenti figurano Dedalo e Icaro (2019) e Vorrei una voce (2024), spettacolo vincitore del Premio Hystrio Twister 2025, ispirato a un laboratorio teatrale con le detenute della Casa Circondariale di Messina.
Dal 2020 è docente alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, e dal 29 settembre 2025 ricopre il ruolo di direttore artistico del Teatro degli Animosi di Carrara, dove porta avanti un progetto di valorizzazione del teatro come spazio di incontro, riflessione e rinascita collettiva. Con il suo primo monologo "Antropolaroid" (2015), Granata ha conquistato pubblico e critica, affrontando temi come l'identità, la memoria e il legame con la propria terra. Ha proseguito la sua carriera con una riflessione sulla solitudine e la speranza, come nel suo lavoro più recente, "Vorrei una voce", che continua a esplorare il potere del teatro come strumento di trasformazione e di resistenza.