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Il campo di "Nale" dove continua a battere il cuore di una comunità

22-11-2025 14:25 - Cronaca
A Ponte a Elsa stamattina l’aria aveva un suono diverso. Era il rumore delle memorie che tornano, dei passi di una comunità che si ritrova, dell’affetto che dopo decenni non si è mai spento. Il campo sintetico, da oggi campo Giuliano Ciampalini, si è trasformato in un abbraccio collettivo. C’erano tutti: la famiglia, gli amici, gli ex giocatori, gli amministratori, i ragazzi di oggi. Tutto il mondo di “Nale”, l’uomo che al calcio aveva dato tutto e dal calcio aveva ricevuto il suo destino, proprio su quel prato, nel 1988, durante una partita.

Lo chiamavano mister, allenatore, factotum. Ma per molti era un padre, un fratello, una guida. Aveva costruito una squadra e insieme a quella una comunità, aprendo le porte ai ragazzi che avevano bisogno di una possibilità, di una parola, di un luogo sicuro. Se il campo sportivo di Ponte a Elsa esiste, è perché lui ci ha creduto quando era solo un sogno di terra e sudore. Per questo oggi, 37 anni dopo, ancora si parla di lui come fosse uscito ieri da un allenamento. E per questo la giunta comunale ha deciso – con una delibera che ha il sapore delle cose giuste – di legare per sempre il suo nome a quel rettangolo verde.

Il sindaco Alessio Mantellassi ha raccontato con emozione la potenza del ricordo collettivo:
«Oggi è una giornata importante e intensa. Io non ho conosciuto Nale, se n’è andato troppo presto. Ma il calore e l’affetto che trovo in chi lo ha conosciuto trasmettono perfettamente chi era: un uomo che ha lasciato un solco profondo. Se dopo 37 anni siamo ancora qui a parlare di lui significa che la sua presenza non si è mai spenta. È un onore che questo campo porti il suo nome».

Parole accolte da un lungo applauso, subito seguito dall’intervento del figlio, Marco Ciampalini, che ha intrecciato memoria familiare e spirito comunitario:
«Vorrei ricordare il contesto in cui mio padre è cresciuto: la guerra, gli sfollati, l’occupazione tedesca, il padre in Africa. Tutto questo ha formato la sua morale e il suo senso critico. Lo sport, per lui, non era solo gioco: era un mezzo per unire, accogliere, educare. Era il suo centro di gravità. Oggi vedere qui così tante persone significa che ciò in cui credeva aveva un valore morale incancellabile».

Poi la voce di Massimo Marconcini, suo ex giocatore, che ha restituito l’immagine più spontanea e intima del Nale allenatore:
«A 14 anni mi innamorai di lui prima ancora del calcio. Con lui abbiamo fatto due campionati straordinari, ma più della classifica ricordo come sapeva parlare a noi ragazzi. Era un proto-psicologo, motivava tutti, anche quelli più difficili come me. Mi faceva dare il 110% e mi faceva perfino arrabbiare per quanto ci riusciva. Ma soprattutto era una persona buona. E questo lo capisci solo quando diventi grande».

Rossano Campigli
, presidente della Casa del Popolo, ha allargato lo sguardo all’intera comunità:
«Giuliano è stato passione, onestà, impegno. Ha fondato la squadra, l’ha allenata, ha creato la prima scuola calcio. A lui dobbiamo domeniche meravigliose sull’argine a vedere il Ponte a Elsa. Questa stele, intitolata “Passione”, celebra ciò che lui era davvero: un costruttore di legami».

E il presidente della scuola calcio US Ponte a Elsa 2005, Michele Mango, ha ricordato il lascito più concreto e luminoso:
«Grazie alla sua visione si costruì il campo sportivo, un punto di riferimento per generazioni. Oggi decine di bambini giocano qui perché lui ha piantato un seme tanti anni fa. Noi continuiamo quella missione: uno sport che educa, include, fa crescere. Questo campo ne è il simbolo».

Infine la consigliera Cristina Marconi ha raccontato l’emozione di scoprire la figura di Nale attraverso i racconti di chi lo aveva conosciuto:
«Quando dicevo “Ciampalini” mi rispondevano tutti “Il Nale”, come fosse un membro di famiglia. Ho raccolto aneddoti, ricordi, frasi che mi hanno restituito l’immagine di un visionario che ha immaginato un paese unito e ha usato il calcio come mezzo per costruirlo. È come se lo avessi conosciuto anch’io».

E Marco Del Turco, visibilmente commosso, ha chiuso con un’immagine che sembrava cucita su quella mattina:
«Nale ha dato solo il calcio d’inizio. Il resto lo hanno fatto le generazioni che sono venute dopo. E continueranno a farlo. Io avevo tredici anni quando è stato il mio allenatore e oggi, dopo tanti anni, posso dire: grazie di tutto, Mister».

E come in ogni storia bella, è tornato alla memoria un episodio che dice più di mille parole: il giorno in cui Nale riuscì a portare Gianni Rivera alla Casa del Popolo. Un’impresa che oggi sembra impossibile anche con internet, figuriamoci allora. Ma lui ci riuscì. E quel giorno unì milanisti e interisti, quasi un miracolo in un pomeriggio di provincia.

Stamattina, sul nuovo campo, non c’era soltanto una targa. C’era una comunità che ha scelto di ricordare chi le ha insegnato a riconoscersi. E c’erano decine di ragazzi che correvano, ridevano, inseguivano un pallone. La prova più luminosa che Nale è ancora qui. E continuerà a esserci.