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La cronaca diventa racconto/L'empolese che inabissò le casse del Duce

21-11-2025 09:54 - Cronaca


Il lago è piatto, gelido, avvolto da un velo di nebbia che sembra sputato dal respiro di Dio. La barca scivola lenta, come se esitasse. Ai remi ci sono due uomini: uno viene da Genova, si chiama Di Salvo ed è un ufficiale; l’altro è un uomo silenzioso, esperto di motori e di fiumi, cresciuto nella terra dei fiaschi e della vetreria. Si chiama Emilio Burresi. È di Empoli.

Le braccia di Burresi scandiscono la cadenza della fuga. Dietro di lui, nella barca che taglia il cuore del lago di Garda, ci sono tre casse. Legno grezzo, anima di zinco, pesanti come segreti. Sono state caricate all’alba davanti a Villa Feltrinelli, residenza blindata del capo della Repubblica Sociale Italiana, Benito Mussolini.

Non sono ancora le 9.30 quando Burresi e il comandante raggiungono il centro del lago. Di Salvo fa un cenno. È il momento. I due sollevano la prima cassa e la scaraventano in acqua. Il tonfo è opaco, non solleva spruzzi. Ma la cassa non affonda. Galleggia. Oscilla. Tentenna. Ci mette troppo. L’anima di zinco fatica a vincere la resistenza dell’acqua. Burresi guarda Di Salvo, Di Salvo guarda il lago. Infine la cassa inizia a scendere, lenta, come se esitasse anche lei. Le altre due restano sulla barca. Sarà trovato un modo migliore, forse. Forse no.



Villa Feltrinelli, confiscata alla famiglia dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, è un fortino blindato tra gli ulivi e i salici del Garda. Qui Mussolini, con la moglie Rachele e i figli Annamaria e Romano, vive da re decaduto e vigilato. Claretta Petacci è a Gardone, a pochi chilometri, una presenza scomoda e troppo vicina per la signora Mussolini, che coltiva conigli e sospetti.

È da lì che parte il mistero. È da quel molo, da quelle casse, che prende forma uno dei segreti più affilati della storia italiana: cosa contenevano quei bauli gettati nelle acque del Garda?
Gioielli, carte, lettere compromettenti? Qualcuno sussurra di documenti sugli accordi segreti tra Mussolini e Churchill, altri parlano di oro, altri ancora di semplice messinscena.

A raccontarlo, anni dopo, sarà un falegname del posto, Franco Campetti. Dice che lo vennero a prendere in bottega, che lo portarono direttamente dal Duce. “Mi ordinò tre casse stagne,” racconterà. “Due le ho riempite io, ma non so cosa ci fosse dentro.”

Campetti dice anche di essere salito su quella barca, insieme a Burresi. Nessuno ha mai verificato davvero. Ma intanto, sommozzatori e ricercatori hanno setacciato per decenni il fondo del lago di Garda, convinti che il tesoro di Mussolini sia ancora là, dimenticato sotto il peso della storia.



E mentre Burresi, empolese di poche parole, rema in silenzio tra la nebbia e le onde, un altro uomo di Empoli si muove sullo stesso scacchiere, in una direzione diversa ma altrettanto tragica.
Si chiama Idreno Marco Benedetto Utimpergher, e nella sua Empoli è nato il 9 dicembre 1901, da una famiglia trapiantata da Merano. Il padre, Giovanni, apre una piccola fabbrica di fiaschi. Idreno invece prende la via nera.

È un fascista della prima ora: partecipa alla Marcia su Roma, diventa giornalista, dirigente sindacale, fondatore di sezioni della Repubblica Sociale in Friuli, in Veneto, in Toscana. Fonda il Partito Fascista Repubblicano a Trieste. Comanda la Brigata Nera “Lucca”, con 140 uomini sotto il suo comando. In Garfagnana le sue squadracce lasciano dietro di sé sangue, rastrellamenti e vendette.

Nella primavera del 1945, quando la guerra è perduta, Utimpergher è ancora al fianco di Mussolini. A Piacenza fa blindare un camion, trasformandolo in un mezzo da guerra. Lo chiamano “l’autoblinda di Dongo”: un Lancia 3R armato fino ai denti, con mitragliatrici Breda e la pantera nera sulle portiere.

Il 26 aprile, mentre le armate tedesche si sfaldano, Mussolini fugge verso la Valtellina. Utimpergher è con lui. Sulla riva sinistra del lago, a Menaggio, si forma la colonna dei gerarchi in fuga. Al suo fianco ci sono Vezzalini, Pavolini, Claretta Petacci e il Duce stesso, travestito da soldato tedesco. Si uniscono a una colonna della Flak, 200 uomini agli ordini dell’Oberleutnant Hans Fallmeyer.

Ma la fuga si arena tra Musso e Dongo, dove i partigiani della 52ª Brigata Garibaldi bloccano la strada. I tedeschi trattano. Possono passare. I fascisti no.

Mussolini viene riconosciuto e arrestato.

L’autoblinda tenta di fare inversione, ma viene ostacolata: forse la strada è troppo stretta, forse è una bomba a mano a inchiodare le ruote. Due uomini muoiono nello scontro. Gli altri si arrendono.

Il 28 aprile, il giorno in cui Benito Mussolini viene giustiziato a Giulino di Mezzegra insieme a Claretta Petacci, Idreno Utimpergher è tra i gerarchi allineati sul lungolago di Dongo. Hanno lo sguardo rivolto verso le acque fredde del lago. Si sparano le ultime raffiche di una guerra finita.



Due uomini. Due empolesi. Due storie che si incrociano nei giorni estremi della guerra.
Emilio Burresi, motorista, uomo d’acqua e di silenzi, forse complice inconsapevole del più grande mistero d’Italia.
Idreno Utimpergher, ideologo e combattente, fanatico fino all’ultimo, morto di spalle, con la divisa nera e la pantera dipinta sul fianco del suo blindato.

Uno ritorna a casa, vive il dopoguerra nell’ombra. L’altro si perde nel sangue e nei documenti.
Entrambi, figli di una città di vetro, fiaschi e mani operose. Una città che, nel buio della Storia, ha lasciato due impronte diverse, opposte, ma entrambe incise sulla pietra del Novecento.

E intanto, in fondo al lago, qualcosa ancora dorme.
Forse un tesoro.
Forse solo la verità.
(5.a puntata. Le precedenti: 4.a Quando i segnali arrivano... dal cielo - 3.a - Davor Cop, l'attaccante che somigliava... solo a se stesso - 2.a - La sera che la televisione regalò un sogno da piazza dei Leoni - 1.a - Quella volta che i tifosi dell'Empoli furono sospettati di rapimento)