La cronaca diventa racconto/ Quell'uovo da primato e... la povera gallina
28-11-2025 08:29 - Cronaca
Nella campagna del Terrafino, in quell'estate del 1934, la luce del mattino arrivava lenta come una carezza sui filari di viti e sui mattoni rossi della villa della nobildonna Alessandrina Bertolli Pappudoff. La torretta, appena aggiunta pochi anni prima, spuntava dal complesso come un dito puntato verso il cielo, testimone silenzioso dei tempi che cambiavano e del regime che, ovunque, metteva bocca perfino nei cognomi delle persone.
Tutti in paese la chiamavano la padrona Alessandrina, benché qualcuno, sottovoce, borbottasse sul suo cognome “straniero”, che in certi uffici diventava d'un tratto Pappudoffo, per evitare di ricordare le origini russe ed ebraiche della famiglia.
Quella mattina, nella fattoria, la routine si sarebbe dovuta svolgere come sempre: i braccianti erano entrati nel pollaio, ognuno col suo compito. C'era Renzo, il più giovane, agile come un gatto e chiacchierone come un pappagallo; c'era Giovanna, che con le galline parlava davvero, e loro—per qualche misterioso motivo—la ascoltavano. E poi c'era il vecchio Taddei, che sorvegliava tutto con l'occhio esperto di chi sapeva riconoscere una gallina da uovo buono ancora prima che l'uovo esistesse.
Fu Renzo il primo a lanciare il grido.
— O Madonna santa… venite a vedere!
Giovanna pensò a un'altra delle sue esagerazioni, ma quando vide ciò che Renzo indicava, si portò una mano alla bocca. Sul fieno, ancora caldo, giaceva un uovo enorme. Non grosso: enorme. Tanto che sembrava quasi uno scherzo, un oggetto portato lì per confondere gli umani e, forse, terrorizzare le galline.
— Novecentonovanta diavoli… ma questo pesa come un sasso del torrente! — mormorò Taddei, infilando le mani nodose sotto l'uovo per sollevarlo. — Non è roba da pollaio, questa.
— Saranno… boh… venti centimetri? — disse Renzo, cercando di stringere il metro da sarta che teneva sempre in tasca “per essere preciso”.
— Venti, sì. E guarda come pesa — aggiunse Giovanna, sentendo lo sforzo del vecchio. — Questa povera bestia ha sofferto.
La gallina, infatti, se ne stava lì accanto, immobile, il fiato corto. Giovanna le si avvicinò e la accarezzò piano dietro la cresta.
— Coraggio, Rina… — le sussurrò. — Hai fatto un miracolo, ma ora respira…
Ma non ci fu tempo. Un tremito, un ultimo respiro, e la gallina si accasciò sul fieno.
Giovanna pianse come se avesse perso un'amica. Renzo si tolse il cappello, serio per la prima volta in vita sua. Taddei sospirò.
— Ha dato tutto. Per un uovo così… chiunque si sarebbe spezzato.
La notizia corse veloce, come sempre correvano le notizie strane, e presto arrivò la padrona Alessandrina, con il suo portamento elegante e la veletta nera che le copriva parte del volto.
— Che succede, Taddei? Perché mi avete mandata a chiamare?
Il vecchio le porse l'uovo, come fosse un trofeo e un lutto allo stesso tempo.
— Padrona… questo non s'è mai visto.
Alessandrina sgranò gli occhi.
— Ma è… gigantesco!
— Sì, signora. E la gallina… non ce l'ha fatta.
— Povera creatura…
— Gli toccava. Uno sforzo del genere…
La nobildonna non era tipo da mostrare emozioni inutili, ma quel sacrificio l'aveva toccata. Guardò l'uovo, poi la gallina, poi i tre contadini attorno.
— Questo dovrà saperlo il mondo.
— Va' che lo scrivono sul giornale? — chiese Renzo, incredulo.
— Sul Corriere, magari — aggiunse Taddei, quasi ridendo.
— Perché no? — disse lei, stringendo le labbra. — Quello che succede qui non è meno importante di ciò che accade nelle grandi città.
E infatti, pochi giorni dopo, il 6 luglio 1934, in una breve di cronaca, Il Corriere della Sera parlò della gallina del Terrafino, del suo uovo enorme di 20 centimetri di circonferenza e 190 grammi. Non parlò della sofferenza dell'animale, né di Giovanna che la vegliò come una sorella. Né, ovviamente, della sottile umiliazione di vedere il proprio cognome—Pappudoff—trasformato in Pappudoffo per ragioni di regime.
Ma parlò dell'uovo. E tanto bastò a far sì che per settimane la fattoria fosse visitata da curiosi, paesani, perfino da un paio di funzionari fascisti che volevano sincerarsi della “veridicità dell'evento eccezionale”.
Passarono gli anni. La guerra arrivò e passò, portando con sé lutti e cambiamenti. Alessandrina, rimasta sola, nel 1938 cedette la tenuta alle suore della Piccola Casa della Divina Provvidenza, che vi avrebbero abitato solo dopo il conflitto.
Ma ancora molto tempo dopo, nelle sere d'estate del Terrafino, quando il vento muoveva piano le frasche e i ricordi sembravano tornare a camminare tra le aie, qualcuno raccontava la storia di quel giorno.
La storia dell'uovo impossibile.
E della gallina che, senza volerlo, era diventata leggenda.
Giovanna, ormai anziana, ogni tanto diceva ai bambini:
— Le galline non parlano, lo so. Ma quella, quel giorno, mi guardò come per dirmi: “È il mio dovere”. E lo fece.
E aggiungeva, accarezzando un fieno che ormai non ricordava più niente:
— Non servono le statue per essere ricordati. A volte basta un sacrificio. Anche piccolo. Anche in un pollaio.
(6.a puntata. Le precedenti: 5.a L'empolese che inabissò le casse del Duce -4.a Quando i segnali arrivano... dal cielo - 3.a - Davor Cop, l'attaccante che somigliava... solo a se stesso - 2.a - La sera che la televisione regalò un sogno da piazza dei Leoni - 1.a - Quella volta che i tifosi dell'Empoli furono sospettati di rapimento)







