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Libertaria, la barca evocativa che ricorda Oreste Ristori

27-09-2025 23:23 - Cronaca
Chi è Oreste Ristori? È giusto chiederselo. E, ancora più giusto, approfondire la sua storia». Con queste parole il sindaco di Empoli Alessio Mantellassi ha aperto il suo intervento alla cerimonia di inaugurazione del monumento dedicato a Oreste Ristori, figura centrale dell’antifascismo empolese e protagonista di una vita segnata dall’impegno, dalla lotta e dalla coerenza.

Una barca, un nome evocativo. E una storia che deve fare memoria. Dopo mesi di iniziative, di lavoro, di raccolta di fondi, di burocrazia, il monumento che ricorda Oreste Ristori è diventato realtà. Era un desiderio degli anarchici empolesi che, qualche anno fa, avevano onorato la memoria di un altro personaggio importante per la storia dell’anarchia, con una targa a Pietro Gori in largo della Resistenza.

La barca, che è stata battezzata “Libertaria” viaggia a gonfie vele in via delle Fiascaie, un altro luogo evocativo, che ricorda battaglie sociali, sindacali, deportazioni. Per svelare il monumento, il cui progetto è nato un paio di anni fa, si sono dati appuntamento le associazioni, i partiti, i politici, tanta gente comune. «Anche inaspettata» ha commentato Paolo Becherini, che questo monumento non solo lo ha pensato e voluto, ma se lo è anche realizzato, insieme a tanti altri compagni anarchici e con la consulenza tecnica di Enrico Baldini. Sul palco, a sottolineare l’importanza della memoria e del messaggio anche presente che questa iniziativa degli anarchici offre alla città, si sono succeduti -intrecciando il valore della memoria con le preoccupazioni del presente - Maurizio Brotini, Marianna Gorpia, Sandro Scardigli, rappresentanti dell’Arci anarchici arrivati da lontano. E il sindaco Alessio Mantellassi che ha sottolineato proprio l’importanza del luogo scelto per onorare la memoria di Ristori. Un'area simbolica per la storia della città, vuole essere non solo un ricordo, ma anche uno strumento di consapevolezza e conoscenza. «Questa è una storia di libertà, di rivolta, di contestazione e, soprattutto, di grande coerenza. Coerenza con i valori che hanno ispirato Ristori per tutta la sua vita», ha sottolineato il sindaco Mantellassi, ricollegandosi alle parole di Maurizio Brotini che aveva richiamato la memoria storica dell’area: le ex fiascaie e la vetreria Taddei, spazi che furono per decenni fulcro della vita operaia empolese. «Era un luogo di lavoro, ma anche di organizzazione e di lotta. È stato un punto cruciale della resistenza al fascismo, proprio per il ruolo dei lavoratori e della loro capacità di unirsi e lottare. Qui, nel 1944, nacque una coscienza operaia antifascista che portò allo sciopero generale del 4 marzo, parte di una mobilitazione nazionale che bloccò la produzione in tutto il Paese. Un segno di forza, consapevolezza e determinazione».

Non a caso, il monumento sorge vicino a quello che ricorda la deportazione degli operai empolesi nei campi nazisti. Un legame profondo.

La figura di Oreste Ristori è già radicata nella memoria empolese: la Pineta che porta il suo nome la Casa del Popolo di Ponte a Elsa, dove viene ricordato con affetto e riconoscenza, anche perché originario della frazione di Pino, nell’abitato di Ponte a Elsa, comune di San Miniato ma legato indissolubilmente a Empoli.

La vita di Oreste Ristori è stata piena di eventi, di lotta e di coerenza. In ogni angolo di mondo. «In America latina – ha ricordato Brotini, - era considerato come Che Guevara».

Oreste Ristori nasce il 12 agosto 1874 in una casa rurale del Pino, sulle colline di San Miniato, in una famiglia di pastori colpita dalla miseria e dalla crisi agricola. Da ragazzo si trasferisce con i genitori e la sorella Linda a Empoli, in via Chiara, nel pieno di un’epoca di aspri conflitti sociali e disoccupazione dilagante. Cresciuto in un ambiente poverissimo, frequentando mercati e cantine dove si discuteva di anarchia e giustizia sociale, si avvicina giovanissimo ai gruppi libertari della zona. A soli 17 anni è coinvolto in un'azione dimostrativa: l’incendio dell’esattoria comunale. Assolto per insufficienza di prove, ma condannato per “associazione a delinquere”, comincia per lui un lungo e duro pellegrinaggio tra le isole del confino: Ponza, Ustica, Tremiti, Porto Ercole.

Detenuto politico tra i più giovani, in carcere conosce figure di spicco dell’anarchismo italiano con cui condividerà battaglie e fughe anche in Sudamerica. Comincia a scrivere articoli sulle condizioni dei prigionieri coatti e diventa un riferimento per i giornali libertari. Dopo un tentativo di fuga in Francia fallito e un rimpatrio forzato, decide di lasciare definitivamente l’Italia: si imbarca clandestinamente, senza documenti, alla volta del Sudamerica.

Nel 1902 arriva a Buenos Aires e viene accolto dai compagni del movimento anarchico, con cui organizza scioperi e assemblee. Ma la repressione non tarda: arrestato, viene imbarcato per l’Italia. Al primo scalo, a Montevideo, fugge con audacia dalla nave, arriva a terra e ha perfino il coraggio di farsi rimborsare metà del biglietto. È ormai un simbolo per la comunità anarchica italiana in esilio. A Montevideo conosce Mercedes Gomes, che sarà la sua compagna per oltre trent’anni.

Con lei si trasferisce a San Paolo, in Brasile, dove nel 1904 fonda La Battaglia, settimanale anarchico che denuncia lo sfruttamento dei lavoratori italiani nelle piantagioni di caffè. Il giornale diventa un punto di riferimento nel panorama libertario sudamericano, con collaborazioni di spicco come quelle di Alessandro Cerchiai e Gigi Damiani. Ma non basta: nel 1917, a Buenos Aires, fonda El Burro, rivista satirica e anticlericale modellata sull’italiano L’Asino. Il successo è travolgente: le tirature raggiungono numeri altissimi e il suo nome si consolida come leader indiscusso dell’anarchismo di lingua italiana in America Latina.

Arrestato ancora una volta nel 1919, viene deportato in Italia, ma riesce a fuggire buttandosi in mare. Nella caduta si frattura le gambe e rimane claudicante per il resto della vita – almeno secondo la leggenda da lui stesso alimentata tra i compagni. Torna a Montevideo e poi di nuovo in Brasile, dove resta politicamente attivo ma con un profilo più defilato. Nel 1936, durante la dura repressione del governo Vargas, viene espulso e rimandato in Italia. Ma non si ferma: raggiunge la Spagna e partecipa attivamente alla guerra civile al fianco delle forze antifasciste libertarie. Da Barcellona tenta, invano, di far arrivare Mercedes, rimasta in Brasile.

Dopo la vittoria franchista si rifugia in Francia, ma con l’occupazione tedesca viene internato nel campo di Roland Garros e infine estradato in Italia nel 1940. Tornato a Empoli, vive prima in una trattoria presso il Canto Ghibellino, poi si trasferisce a Spicchio, dove lavora in una ditta di ingrandimenti fotografici. Anche se cerca di mantenere un basso profilo, è schedato come “sovversivo” e sorvegliato speciale.

Il 25 luglio 1943, con la caduta di Mussolini, partecipa alle manifestazioni spontanee di piazza. Viene arrestato per aver insultato un funzionario definendolo “gelataio” e incarcerato alle Murate. Il 2 dicembre 1943, in risposta all’uccisione del colonnello fascista Gobbi da parte dei partigiani, viene fucilato per rappresaglia al poligono delle Cascine di Firenze insieme ad altri quattro compagni. Si racconta che morì fumando la sua pipa e cantando L’Internazionale.

Oggi Oreste Ristori è ricordato come una figura quasi leggendaria del movimento anarchico. In Brasile gli è stata intitolata una piazza a San Paolo, mentre in Italia una lapide al cimitero comunale di Empoli ne onora il sacrificio: “...veniva fucilato quale innocente ostaggio, chiudendo così sotto il piombo dei nazi-fascisti una vita tutta dedita al trionfo della verità e della giustizia”. La sua esistenza, segnata da esilio, lotta e passione, rimane un esempio di coerenza incrollabile e internazionalismo vissuto fino all’estremo.