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Pace, giustizia e libertà passano dalla voce dei giovani: la lezione degli studenti empolesi agli adulti

22-09-2025 11:29 - Cronaca
Stavolta sono stati gli studenti a salire in cattedra. I professori c'erano, hanno aderito al loro invito. Ma sono rimasti a guardare e ad ascoltare. I veri protagonisti erano loro: gli studenti.

Citano Virginia Woolf, declamano poesie di Refaat Alereer, poeta e insegnante ucciso dai bombardamenti israeliani, scandiscono slogan di pace, di libertà, di speranza. Circa un migliaio di studenti ha sfilato per le vie del centro, dal liceo Virgilio di via Cavour a piazza Farinata degli Uberti, riempiendo le strade con suoni, colori e rumore, per richiamare l'attenzione degli adulti, troppo spesso “indifferenti” verso ciò che sta accadendo a Gaza.

La manifestazione è stata organizzata in tutta fretta, affiancandola allo sciopero nazionale indetto per il 22 settembre da alcuni sindacati. «Questa manifestazione è nata come una risposta a una crescente indifferenza che vediamo tra i nostri compagni di scuola. Noi, come rappresentanti degli studenti, spesso facciamo le Assemblee e non vediamo più confronto, non vediamo più dialogo. Così abbiamo pensato che sarebbe stato utile organizzare un evento per informare i ragazzi, smuoverli, farli sentire partecipi di qualcosa che va oltre la scuola, che tocca la vita quotidiana. Il nostro obiettivo è iniziare un percorso più ampio, un percorso per la pace, la giustizia e la dignità umana», spiega Teresa Borsini, studentessa del liceo scientifico Il Pontormo.

L'iniziativa è partita dal gruppo di studenti del Collettivo Sav - studenti autogestiti del Virgilio - del liceo classico e artistico Virgilio e ha subito raccolto il sostegno di tutte le altre scuole. In corteo hanno sfilato circa un migliaio di ragazzi. Ma non solo loro: c'erano anche insegnanti di tutti gli ordini scolastici, dalle elementari alle superiori.

Teresa sottolinea l'importanza di sensibilizzare i giovani e di coinvolgerli direttamente, sfidando la paura – alimentata da alcuni dirigenti scolastici – che l'assenza per partecipare alla manifestazione possa sfociare in un brutto voto di condotta. «I nostri dirigenti scolastici, è chiaro che seguono i regolamenti, e questo è giusto. Ma in situazioni come questa, con un conflitto in corso, credo che ci debba essere una riflessione diversa. Non sto dicendo che non si debba rispettare il regolamento, ma non possiamo continuare a sentirci dire che la scuola non è d'accordo o che faranno di tutto per ostacolarci. Come è successo due anni fa, sempre qui, per la manifestazione in memoria di Giulia Cecchettin».

Teresa rincara la dose con un intervento carico di emozioni, pronunciato dal sagrato della Collegiata di Sant'Andrea, in una piazza Farinata colma di cartelli, bandiere, giovani e docenti. «Ci dicono che la scuola è apolitica, ma non è vero che la scuola debba essere neutrale in modo assoluto. La politica, intesa come partecipazione attiva, è parte della vita di tutti. È proprio nella libertà di scelta che risiede la politica, e oggi siamo qui anche per questo: per ricordare che la scuola deve essere un luogo dove si formano cittadini consapevoli, capaci di decidere e di lottare per ciò che è giusto».

«Molti di quelli che hanno parlato oggi – aggiunge Teresa con orgoglio – sono rappresentanti d'istituto o faranno parte della Consulta o del Parlamento degli studenti. È un segno che questi temi stanno prendendo piede tra i giovani, e non vogliamo fermarci qui. Le scuole per la pace di Empoli continueranno il loro impegno, non solo per la Palestina, ma anche per altre cause come il 25 novembre, la giornata contro la violenza sulle donne, e il 'Fridays for Future'. Stiamo già mettendo in campo nuove iniziative: vogliamo informare i ragazzi, mobilitarli, smuoverli. Perché c'è bisogno di movimento, e questa è l'unica strada che possiamo percorrere. Perché se non ci muoviamo noi, chi lo farà?».

Quando Eleonora Periti, studentessa del Virgilio, prende il microfono, avverte subito: «Vi leggo una poesia, ascoltatela. È di un insegnante che è stato ucciso da un bombardamento israeliano». Lei legge, in piazza cala il silenzio. È di Refaat Alereer:

"Se devo morire
tu devi vivere
per raccontare la mia storia
per vendere le mie cose
per comprare un pezzo di stoffa e dello spago,
(bianco con una coda lunga)
cosicché un bambino, da qualche parte a Gaza
guardando il cielo negli occhi
aspettando suo padre che se ne andò in fiamme —
senza dire addio a nessuno
nemmeno alla sua carne
nemmeno a se stesso —
veda l'aquilone, il mio aquilone che tu hai fatto, volare in alto sopra
e pensi per un momento che ci sia un angelo lì
riportando l'amore.
Se devo morire
lascia che porti speranza
lascia che sia una storia."

Eleonora poi aggiunge: «In ciò che ho appena letto non c'è rassegnazione, c'è una consegna. La sua morte non è fine: è testimonianza. Un seme che chiede di germogliare nelle nostre voci, nei nostri gesti, nelle nostre scelte. In tanti, sapendo della nostra iniziativa di oggi, ci hanno detto che non aveva senso, che non sarebbe servito a niente scioperare e manifestare. Ma questa poesia dice il contrario. Serve, perché tacere significa rendere vano il suo sacrificio, e soprattutto significa essere complici di questo crimine. Serve, perché lui non può più difendere la sua causa, e allora tocca a noi. Non siamo qui perché sicuri di fermare da soli il genocidio. Siamo qui perché davanti all'orrore abbiamo scelto di dire no: no alla complicità, no all'indifferenza, no alle istituzioni che restano mute. E al tempo stesso abbiamo detto sì: sì all'umanità, sì alla dignità, sì alla vita».