Quando Empoli riconobbe (prima in Italia) la Palestina attraverso... il calcio
05-09-2025 14:45 - Cronaca
C'erano sorrisi un po' timidi, stretti di mano sincere e lo stupore di chi non si aspettava un'accoglienza così calda, a dispetto del freddo pungente di quei giorni. Era il 16 gennaio 1989 quando la Nazionale di calcio dell'Olp – la organizzazione per la liberazione della Palestina - arrivò a Empoli e, per un giorno, la Palestina trovò una casa nel palazzo comunale e nello stadio cittadino.
I venti calciatori, in realtà, non erano professionisti. Erano ragazzi che nella vita di tutti i giorni studiavano, lavoravano, cercavano di costruirsi un futuro in mezzo a mille difficoltà. Giocavano “anche” a calcio ma soprattutto rappresentavano la voglia di esistere di un popolo.
In Comune furono accolti dall'assessore allo sport Sauro Cappelli, che consegnò loro una targa ricordo. La sala era gremita, e l'emozione palpabile. Quelle strette di mano non furono solo un gesto protocollare: per i palestinesi, abituati a sentirsi invisibili, significarono un riconoscimento, un “voi esistete” che arrivava da una città toscana lontana anni luce dai conflitti mediorientali.
La partita contro l'Empoli finì 2-0 per gli azzurri, ma fu una festa. Il pubblico applaudì con lo stesso calore i padroni di casa e gli ospiti. Dopo la gara, la squadra palestinese visitò alcune aziende del territorio: fabbriche, officine, realtà produttive. Videro con i propri occhi una parte di quel mondo industriale che aveva fatto la fortuna della Toscana e dell'Italia. Non era turismo, era un incontro tra storie, tra condizioni di vita diverse ma vicine nel desiderio di dignità.
I giornali titolarono: “Che bella festa a quei giovani che giocano anche a calcio”. Un titolo che oggi, a distanza di trentacinque anni, risuona ancora di più. Perché in quel “anche” c'era tutto: non erano solo calciatori, erano ambasciatori di un popolo senza Stato, ragazzi che portavano nel cuore il peso di una causa più grande di loro.
Allora come oggi, la questione palestinese divide e infiamma i dibattiti internazionali. In Italia e in Europa si discute ancora di riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina. Eppure Empoli, già nel 1989, seppe lanciare un messaggio semplice e potente: la politica internazionale può sembrare lontana, ma la solidarietà passa anche da un Comune di provincia, da una targa consegnata in Municipio, da un pallone calciato su un campo di periferia.
Quel giorno, per la prima volta, la Palestina non fu fuorigioco.
I venti calciatori, in realtà, non erano professionisti. Erano ragazzi che nella vita di tutti i giorni studiavano, lavoravano, cercavano di costruirsi un futuro in mezzo a mille difficoltà. Giocavano “anche” a calcio ma soprattutto rappresentavano la voglia di esistere di un popolo.
In Comune furono accolti dall'assessore allo sport Sauro Cappelli, che consegnò loro una targa ricordo. La sala era gremita, e l'emozione palpabile. Quelle strette di mano non furono solo un gesto protocollare: per i palestinesi, abituati a sentirsi invisibili, significarono un riconoscimento, un “voi esistete” che arrivava da una città toscana lontana anni luce dai conflitti mediorientali.
La partita contro l'Empoli finì 2-0 per gli azzurri, ma fu una festa. Il pubblico applaudì con lo stesso calore i padroni di casa e gli ospiti. Dopo la gara, la squadra palestinese visitò alcune aziende del territorio: fabbriche, officine, realtà produttive. Videro con i propri occhi una parte di quel mondo industriale che aveva fatto la fortuna della Toscana e dell'Italia. Non era turismo, era un incontro tra storie, tra condizioni di vita diverse ma vicine nel desiderio di dignità.
I giornali titolarono: “Che bella festa a quei giovani che giocano anche a calcio”. Un titolo che oggi, a distanza di trentacinque anni, risuona ancora di più. Perché in quel “anche” c'era tutto: non erano solo calciatori, erano ambasciatori di un popolo senza Stato, ragazzi che portavano nel cuore il peso di una causa più grande di loro.
Allora come oggi, la questione palestinese divide e infiamma i dibattiti internazionali. In Italia e in Europa si discute ancora di riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina. Eppure Empoli, già nel 1989, seppe lanciare un messaggio semplice e potente: la politica internazionale può sembrare lontana, ma la solidarietà passa anche da un Comune di provincia, da una targa consegnata in Municipio, da un pallone calciato su un campo di periferia.
Quel giorno, per la prima volta, la Palestina non fu fuorigioco.
Emilio Chiorazzo