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Terremoto alla banca Cambiano: si chiude l'era Bosio-Regini

10-12-2025 16:32 - Primo piano
È una vera e propria rivoluzione quella che si è consumata alla Banca di Cambiano, storica istituzione nata nel 1884 nel cuore dell'Empolese-Valdelsa e da sempre punto di riferimento non solo finanziario, ma anche sociale e culturale per l'intero territorio. Dopo oltre un quarto di secolo, si chiude l'era del presidente Paolo Regini e del direttore generale Francesco Bosio, figure che hanno guidato la banca attraversando trasformazioni profonde – dalla stagione cooperativa alla scelta, nel 2017, di diventare società per azioni e restare indipendente dai due grandi gruppi Iccrea e Cassa Centrale.

La scossa arriva da un'ispezione della Banca d'Italia, condotta tra febbraio e giugno, che – pur riconoscendo la solidità patrimoniale dell'istituto – ha chiesto una “discontinuità gestionale” giudicando la governance troppo intrecciata con il territorio, con la politica locale e con rapporti sedimentati nel tempo. In altre parole: non più compatibile con gli standard di trasparenza, autonomia e rigore richiesti oggi a una banca di dimensione interregionale.

La risposta della banca non si è fatta attendere. Si è dimesso il direttore generale Francesco Bosio, in carica da 26 anni; si sono dimessi tre amministratori su sette e l'intero collegio sindacale. La guida operativa passa ora alla vicedirettrice Federica Paoletti, nominata direttore generale reggente. Il presidente Regini resta invece in carica fino alla primavera, quando il cda terminerà il proprio mandato in occasione dell'approvazione del bilancio.

Il prossimo appuntamento cruciale sarà l'assemblea dei soci del 16 dicembre a Firenze, nella quale Regini dovrà illustrare ufficialmente le osservazioni della Banca d'Italia e delineare il percorso di rinnovamento. I numeri confermano che non è in discussione la stabilità dell'istituto. Al 30 giugno 2025 la banca registrava una raccolta complessiva di 5.534 milioni di euro, impieghi per 2.765 milioni, utile semestrale di 4 milioni, e una previsione di chiusura dell'anno intorno ai 10 milioni di euro. Dati robusti che rendono ancora più chiaro il messaggio della vigilanza: la questione non riguarda i conti, ma il modello di governance, giudicato inadatto agli standard richiesti oggi a un istituto con 44 filiali in nove province (Firenze, Pisa, Pistoia, Arezzo, Lucca, Siena, ma anche Torino, Bologna e Roma).